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25.08.2025

Quando la fiction dà forma alla realtà

Nel 2025 «Ritorno al futuro», primo capitolo della trilogia diretta da Robert Zemeckis, compie 40 anni. Fu soprattutto la parte 2 uscita nel 1989 a stupire con le sue invenzioni immaginate.

Testo: Jérôme Burgener
Contributi: Dominic Graf, Juliane Lutz
Fotos FlixPix / Alamy Stock Foto, Keystone, Maximum Film, Keystone/AP Turner Entertainment, SeanReed, Shutterstock, Renault, Tesla, Lexus, BMW/Enes Kucevic Photography Daniel Kellenberger, Imdb

Il film ha marcato la storia del cinema e resta un riferimento, ma anche altri generi provano ad anticipare il futuro ispirandosi allo stato attuale della tecnologia, dalla letteratura fantascientifica ai videogiochi.

Popculture
«Ritorno al futuro 2» (1989) e le visioni tecnologiche messe in scena continuano ad alimentare l’immaginario collettivo.
 

Robert Zemeckis ci aveva azzeccato… o quasi

«Ritorno al futuro 2» prometteva che nel 2015 l’uomo avrebbe controllato la meteo, si pagava senza contatto e le auto sapevano volare. Dieci anni dopo, la realtà si presenta più triviale di quanto ipotizzato dal regista cult.

Un paio di Nike Mag del 2016 prodotte
in 89 esemplari costano fino a 100 000 fr.

Realizzati o imminenti
Scarpe autoallaccianti: Edizioni limitate di modelli simili a quelle del film (Nike Mag nel 2016 e Nike Adapt BB nel 2019).
Pagamenti contactless o biometrici: Apple Pay, Google Pay e soprattutto TWINT vengono usati su ampia scala.
Videoconferenze: D’uso quotidiano con Zoom e Microsoft Teams oppure FaceTime.
Droni: Molto diffusi sia quelli professionali che ad uso ricreativo ed amatoriale.
Tablet e schermi piatti: Onnipresenti da parecchi anni.
Comandi vocali: Gli assistenti virtuali (Siri, Alexa, Google Assistant) esistono da più di 10 anni.
Riconoscimento biometrico: Impronte digitali, sblocco facciale del telefono cellulare.
Occhiali connessi: Google si era lanciata con Google Glass, ma poi ha accantonato il progetto. Come altri marchi (fra cui Ray-Ban) sta esplorando le potenzialità degli occhiali intelligenti AI.

Marty McFly ha fatto sognare generazioni con
il suo hoverboard e la giacca futuristica.

Realizzati in parte

Hoverboard: Esistono skate a levitazione, ma chi si aspetta di fluttuare come Marty McFly rimarrà deluso. Volano, ma in condizioni molto specifiche (Lexus, Hendo).
Casalinghi smart: Esistono i robot aspirapolvere o tosaerba, ma i robot maggiordomo sono ancora in fase di sviluppo.
Giacca autoregolante e asciugante: Benché solo come prototipi, esistono dei gilet riscaldati (Ororo, Xiaomi) o intelligenti (Levi’s × Google Jacquard).

La mitica DeLorean DMC-12 Usata come
macchina del tempo nei tre film, dal 1981
al 1983 ne sono state fabbricate 8583 unità
nell’Irlanda del Nord.

Non realizzati o lontani

Auto volanti: Prodotti alcuni prototipi (Terrafugia, AirCar), ma non destinati al mercato di massa.
Controllo puntuale e ultrapreciso del clima: La manipolazione meteorologica è tanto difficile e imprevedible quanto controversa.
Pizza idratata: Non esiste ancora nessun apparecchio come lo speciale forno per idratare la pizza ed ingrandirla venti volte.

Le previsioni realizzate in video (in inglese)

Il suono che rivela

Popculture
Con George Lucas, i combattimenti spaziali sono rumorosi, per accentuare il mito.

Prendiamo la colonna sonora di un film. Nel capolavoro di Stanley Kubrick «2001: Odissea nello spazio» quest’ultimo è lento, freddo, silenzioso. Realistico. Questo silenzio è del resto scientificamente esatto: nel vuoto spaziale non c’è suono, poiché non c’è aria per trasmettere le onde sonore. George Lucas sceglie l’esatto contrario nelle sue «Guerre stellari», colmando lo spazio di rumori: spari, motori, esplosioni. Ma in questa distorsione della realtà, capta un’altra forma di verità: quella del mito. «Guerre stellari» è irrealistico, ma credibile, perché parla al nostro bisogno di narrazioni chiare, di lotte epiche, di filiazioni perse e ritrovate. Ad onor del vero, bisogna mentire con precisione. I suoni dei TIE – i caccia da combattimento utilizzati dall’Impero Galattico – provengono da suoni semplici, come ha spiegato Ben Burtt, sound designer della saga: «Ho utilizzato il barrito di un elefante, poi l’ho missato con dei rumori di auto che avevo registrato durante un temporale, mentre sfrecciavano a tutta velocità nelle pozzanghere».
Ed eccoci, nella realtà odierna, con la vettura elettrica. Anch’essa fa parte di questa iperrealtà. Non è semplicemente un oggetto che veicolerà la transizione ecologica: è il simbolo di un futuro desiderabile, pulito, connesso. Con questa proposta tecnologica si pone anche un problema: le auto elettriche non emettono quasi alcun rumore, soprattutto a bassa velocità, caratteristica che le rende pressoché impalpabili, irreali.

Gothard
Troppo silenziosa, l’auto elettrica inudibile può essere insidiosa nella realtà.

Come George Lucas, bisogna renderle artificialmente percettibili e, quindi, barare con coraggio. Uno sviluppo interessante da seguire è quello proposto da Renault. Il reportage «Dietro le quinte del sound design» mostra come Jean-Michel Jarre, musicista francese e pioniere della musica elettronica, ha messo a punto, insieme con i team di Renault e l’IRCAM (Istituto di ricerca e di coordinazione acustica/musicale), il suono della sequenza di benvenuto quando si entra nel veicolo, ma soprattutto il VSP (Vehicle Sound for Pedestrians), un suono d’allerta esterno emesso a bassa velocità per avvisare i pedoni. Questo dispositivo VSP è obbligatorio in Svizzera per i veicoli elettrici e ibridi. Paradossalmente diventa dunque necessario aumentare la realtà affinché la si possa percepire. Ancora una volta, la fantascienza è confluita nella realtà, intrecciandosi con essa.

Un circolo virtuoso

Chi è venuta prima: la fantascienza o la scienza? Come nel classico enigma dell’uovo e della gallina, a volte è impossibile dire se sia la realtà a ispirare l’immaginazione o il contrario. Ma spesso, il futuro si sogna prima di essere costruito.

Popculture
Il Nautilus di «Ventimila leghe sotto i mari» poteva far nascere la vocazione d’ingegnere.

Frédéric Jaccaud dirige la Maison d’Ailleurs a Yverdon-les-Bains, nel canton Vaud. Questo museo propone esposizioni legate alla cultura popolare, all’arte contemporanea e alla scienza, oltre a un’escape room, «K.R.A.K.E.N», ispirata all’universo di Jules Verne. Quando gli viene chiesto quale «mondo» abbia influenzato di più l’altro, la realtà o la fantascienza, la risposta arriva senza esitazioni: «Non c’è da stilare una classifica, perché si tratta di un circolo che non si ferma mai. Affinché una finzione possa esistere, serve una base reale. Nella seconda metà del 19° secolo iniziano ad apparire le grandi città, i grandi mezzi di trasporto e le grandi scoperte, che vanno ad impattare fortemente la finzione, che corre dietro alla realtà: quando gli autori scrivono che, domani, le automobili voleranno, ne sono certi. Quando Jules Verne descrive il sottomarino Nautilus, non lo inventa dal nulla: i sommergibili già esistevano. Verne pensa semplicemente che, se si sviluppano abbastanza, e si portano al massimo le loro possibilità, ecco come saranno. E magari inconsciamente all’epoca un giovane lettore poteva dirsi: ‹Voglio lavorare in questo campo, dal momento che siamo così vicini a ciò che descrive Jules Verne›».

Popculture

«Quando gli autori scrivono che, domani,
le automobili voleranno, ne sono certi»

Frédéric Jaccaud, direttore della Maison d’Ailleurs

Popculture
La modalità Sentinella di Tesla ricorda HAL 9000 di «2001: Odissea nello spazio».

Quando la cultura pop immagina il futuro della mobilità, non si limita a prolungare la strada: inventa nuovi orizzonti. L’immaginario tecnologico alimenta i sogni, e talvolta i progetti, degli ingegneri. Del resto, Elon Musk non lo ha mai nascosto. Tra «Iron Man» e «2001: Odissea nello spazio», la sua azienda Tesla si è costruita tanto su ispirazioni tecniche quanto culturali. L’interfaccia dei cruscotti ricorda la cabina di pilotaggio di un’astronave. Gli aggiornamenti da remoto si ispirano al mondo dei video­giochi. Persino la modalità Sentinella (un ­sistema di sorveglianza che utilizza le telecamere del veicolo per rilevare e registrare qualsiasi attività sospetta intorno all’auto quando è parcheggiata) ha un nome degno di un film di supereroi.

Il set come pista di prova

Da tempo il cinema si presta come campo di sperimentazione per tecnologie ed oggetti futuribili. Spesso ad essere testate sono nuove concept car. Alcuni progetti che all’epoca sembravano delle stravaganze sono poi diventati realtà.

La Lexus firmata Harald Belker non esiste, ma ha
permesso di sviluppare delle idee innovative.

I tre motivi, secondo Frédéric Jaccaud, per cui i brand automobilistici usano le produzioni sci-fi come tavolo di disegno dei loro prodotti futuri: «Sono ideali per testare un nuovo tipo di carrozzeria, vernice o logo. In secondo luogo, per invogliare lo spettatore e potenziale cliente: gli ingegneri possono presentare delle opzioni che sembrano irrealizzabili ma che vanno ad arricchire il mito del marchio. Ed infine, per dare impulso all’innovazione come l’apertura del veicolo con le impronte digitali». Esempi famosi: per il film «Minority Report» (2002), Lexus ha concepito un’auto a guida autonoma che anticipa il linguaggio stilistico «L-Finesse» caratteristico dei suoi modelli moderni. BMW ha a sua volta sfruttato il grande schermo come rampa di lancio delle serie Z e M, oltre che per provare i comandi vocali e assistenti avanzati. Al riguardo citeremo: «GoldenEye» (1995), «Il mondo non basta» (1999) e «Mission: Impossible – Rogue Nation» (2015).

https://ailleurs.ch/

Oggetti di scena, una vera passione

Come quella nutrita da Roger Kästle. L’architetto zurighese colleziona oggetti di scena cinematografici. Raccoglie accessori di film di ogni genere, dalla bustina di (finte) droghe fino alle rane. Una passione che coltiva da anni.

Popculture
Rare e costose: le rane di «Magnolia» e la videocassetta di «The Ring».

Come ha iniziato a collezionare oggetti usati nei film?
Roger Kästle: Sono un grande appassionato di cinema e nel 1999, a una fiera, scoprii uno stand con le rane che nel film «Magnolia» cadevano dal cielo. Erano molto costose, ma più tardi ne trovai tre in plastica su internet per 60 franchi e le comprai. Quello fu l’inizio della mia passione per il collezionismo.

Colleziona qualsiasi tipo di oggetto o unicamente «props» che soddisfano dei requisiti particolari?
Colleziono di tutto, ma l’oggetto deve essere qualcosa che associo immediatamente al film. Per esempio, la videocassetta di «The Ring», che nel film ha un ruolo centrale. Oppure le pillole di «Limitless», che Bradley Cooper prende per sfruttare all’improvviso tutto il potenziale del suo cervello, e non solo il presunto 10 per cento che normalmente usiamo. O ancora il biglietto con cui Jake Gyllenhaal in «Source Code» rivive in loop una sequenza a bordo di un treno.

Come trova gli oggetti da collezione?
Ci sono fiere e ho contatti attraverso i quali è possibile fare baratto. Preferisco di gran lunga lo scambio. Però, se online trovo qualcosa che devo assolutamente avere, partecipo alle aste. Per esempio su eBay oppure Propstore. Quest’ultimo è uno dei tre grandi rivenditori online specializzati in oggetti di scena. Due si trovano negli Stati Uniti, uno nel Regno Unito. Aspetto sempre che l’entusiasmo per un film si sia placato: è allora che i prezzi scendono. Alcuni fan vanno persino nei luoghi delle riprese, ma oggi è molto più difficile trovare qualcosa in quel modo. Un tempo, dopo la fine delle riprese – per esempio di «Guerre stellari» – la troupe lasciava semplicemente nel deserto tutto quello che non serviva più.

Popculture
Nella collezione di Roger Kästle: il biglietto del
treno, che in «Source Code» cambia la vita a
Jake Gyllenhaal.

Oggi quanto è grande la collezione che possiede?
Ho circa una ventina di oggetti provenienti da film molto famosi. Se volessi vendere la videocassetta di «The Ring», ci sarebbe molto interesse. Un museo mi ha offerto venti volte il prezzo che avevo pagato io.

Quali sono i suoi pezzi preferiti in assoluto?
Il pacchetto con le finte droghe di «Breaking Bad», le rane di «Magnolia» e una pagina del copione originale del regista di «7 psicopatici» (Seven Psychopaths, n.d.r.).

«Breaking Bad» è stata una serie epocale. È stato difficile procurarsi un pacchetto con la finta droga?
All’inizio, una bustina costava mille franchi. Subito dopo le riprese la blue meth finta veniva venduta in grandi sacchi. A un certo punto, la gente ha iniziato a ricavarne sacchettini più piccoli, e uno di questi l’ho comprato infine per 250 franchi. Le droghe sono il motivo centrale della serie e, proprio per questo, oggetti molto interessanti per i collezionisti. «Breaking Bad» è stata una serie straordinaria e per la complessità della trama ha influenzato enormemente il modo di narrazione delle serie tv.

Le valutazioni di Roger Kästle su 11 145 film: : letterboxd.com/kaestle/likes/films

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