Raphael Hörler si occupa di smart commuting. Nell’intervista il ricercatore spiega il concetto e delinea i passi verso un pendolarismo che fa rima con sostenibilità.
Personalmente quanto ci mette per recarsial lavoro e quale mezzo di trasporto usa?
Raphael Hörler: Normalmente vado al lavoro a piedi, siccome abito a pochi minuti dall’ufficio. È comodissimo e non ho neanche bisogno di una bicicletta per raggiungerlo.
In media i lavoratori svizzeri che fannoi pendolari trascorrono in viaggio trenta minuti al giorno. Suppongo che anche lei abbia già avuto tragitti più lunghi?
Sì, il mio precedente posto di lavoro distava una trentina di minuti da casa, ma in passato talora ero in viaggio anche due ore. Oggi il mio tragitto è quasi troppo breve, ma mi rende del tutto indipendente dai mezzi pubblici. Diamo per scontato che il livello di comfort tende a scendere dopo un quarto d’ora di tragitto.
Lei analizza i fenomeni legati alla mobilità. Li affronta diversamente come studioso di come lo farebbe in veste di lavoratore direttamente
interessato dal discorso?
Non credo proprio. I valori che desideriamo trasmettere e le ricerche svolte corrispondono alle mie convinzioni personali.
A quali valori si riferisce?
In primis l’obiettivo emissioni zero entro il 2050. Vogliamo incoraggiare una mobilità sostenibile per migliorare la qualità di vita nelle città e regioni. Ritengo peraltro che la ricerca si focalizzi eccessivamente sui centri urbani. È vero che hanno una maggiore densità di popolazione ed è appassionante vedere le trasformazioni già in atto. Tuttavia, nelle città oggigiorno sono soprattutto i pendolari in auto a creare i più grossi problemi. Detto ciò trovo molto importante osservare come si spostano coloro che abitano in campagna e nelle agglomerazioni.
Il focus delle sue ricerche è il pendolarismo intelligente, il cosiddetto smart commuting. Può spiegarci cosa s’intende concretamente con questo termine?
In sintesi sta ad indicare una mobilità più pulita e sostenibile. Alla base c’è il ragionamento che bisogna innanzitutto evitare, quindi trasferire ed infine ottimizzare i flussi pendolari. Qui il telelavoro assume un ruolo decisivo in quanto riduce i picchi di traffico la mattina e la sera. Per quanto riguarda il trasferimento del traffico dobbiamo dare la priorità alla mobilità intermodale, cioè all’utilizzo di diversi servizi combinati tra loro, che va ulteriormente sviluppata, ad esempio tramite la MaaS. In questo campo sono già state lanciate azioni pilota, però di carattere locale e senza coinvolgere l’intero territorio. Ed infine, dato che in determinate aree i trasporti pubblici sono carenti e mancano alternative di tipo MaaS, è necessario puntare su piccole autovetture elettriche e bus on demand (su richiesta) in vista di integrarli nella MaaS del futuro.
Cosa significa MaaS?
È l’acronimo dell’inglese Mobility as a Service. Si tratta di piattaforme digitali che consentono agli utenti di programmare e prenotare un viaggio, inteso anche come semplice corsa in taxi o monopattino, fruendo di tutti i mezzi disponibili e dei servizi connessi, compresi i pagamenti. Ne è un esempio l’app FFS, solo che le formule MaaS includono anche autonoleggio, car e ride sharing o pooling ecc.
Prevedono un abbonamento mensile a pacchetti di servizi personalizzati secondo le esigenze dell’utente. È peraltro fondamentale che siano imperniati sui trasporti pubblici e ne consentano un utilizzo efficiente. L’utente dal canto suo dovrà soltanto indicare punto di partenza e destinazione per vedersi proporre vari percorsi, dal più economico al più rapido passando per il più ecologico. Non devono mancare neppure le automobili, in quanto, come evidenziato dai dati raccolti, non sempre è possibile farne a meno. Idealmente il veicolo sarà condiviso oppure posseduto nelle zone che rimangono fuori mano.
Pensa davvero che gli svizzeri siano disposti a rinunciare all’automobile di proprietà?
Sì, lo abbiamo constatato nelle città, non è affatto divertente venirci in auto. Ammetto però che nelle regioni periferiche, dove i trasporti pubblici mancano, l’auto continua ad avere una ragione d’essere, purché si opti per un modello elettrico. E benché ci siano senz’altro tragitti fattibili con ricorso alla MaaS, dobbiamo fare i conti con un trasporto pubblico notoriamente insufficiente in campagna che rende indispensabile l’automobile. Occorre tempo per cambiare le abitudini. Un primo passo concreto e prammatico sarebbe già passare ad una piccola auto elettrica.
Lo smart commuting e la MaaS sono destinati a diffondersi prevalentemente nelle città e meno in campagna?
Si stanno già sperimentando modelli e progetti pilota, ma non su ampia scala. Siamo ancora lontani dalla MaaS pensata a tavolino. È peraltro evidente che in un futuro prossimo non ci sarà un’alternativa in grado di soddisfare completamente le esigenze di mobilità nelle zone rurali. Qui m’immaginerei piuttosto servizi su richiesta, quali ad esempio i bus navetta offerti da Mybuxi. Essendo basati sulla domanda potrebbero altresì aiutare a ridurre i costi.
Definirebbe la MaaS come servizio pubblico o prestazione privata?
La MaaS funzionerà con successo dove sussiste una forte domanda, quindi principalmente nei contesti urbani. Tuttavia è senz’altro necessario un dibattito approfondito per valutare se rientri nelle competenze dello Stato o no. In via generale dubito che il concetto sia praticabile in modo redditizio fuori dalle città. Sono dell’opinione che nelle regioni più remote dovrebbe essere un servizio pubblico come pure i trasporti on demand che verrebbero così a rafforzare i trasporti collettivi. In un primo tempo un progetto MaaS non si realizzerà senza il sostegno dello Stato, perlomeno non in campagna.
Nell’ambito di uno studio internazionale avete interrogato pendolari nella regione di Basilea. Quali riscontri ne avete ottenuto?
Lo scopo del sondaggio è stato di rilevare come far sì che i pendolari sostituiscano l’auto con i mezzi pubblici, molto più sostenibili. Per parecchi il principale ostacolo sta nel fatto che il treno che li porta in città non si ferma davanti alla porta di casa e non è diretto, per cui devono prima arrivare in stazione, spesso cambiando più volte. In questi casi l’automobile offre vantaggi innegabili – a prescindere dagli ingorghi stradali che molti pendolari motorizzati non considerano peraltro un deterrente. Alla difficoltosa accessibilità delle stazioni si aggiungono i timori circa la puntualità dei mezzi pubblici.
Come si potrebbero indurre fette consistenti di pendolari a barattare il comfort e la comodità dell’auto a favore dei mezzi di trasporto pubblici?
Non abbiamo posto il quesito, ma piuttosto sondato il grado di accettazione del car sharing/pooling e della MaaS.
Che poi sono espressionidifficili da capire…
Il nodo sta proprio qui. Questi termini non sono ancora entrati nel linguaggio di tutti i giorni e la maggior parte delle persone non sa cosa significano. È quindi naturale che siano restii ad abbracciare queste novità. Al tempo stesso abbiamo chiesto anche agli enti di trasporto ed altri operatori del settore che hanno manifestato un grande interesse. V’è quindi un divario fra lavoratori pendolari e attori della mobilità.
La ricerca assume quindi la posizione delle città e dei pianificatori del territorio piuttosto che dei pendolari che preferiscono l’auto?
Nell’ottica della sostenibilità ci poniamo sì dalla parte dei pendolari perché lo smart commuting consente di aumentare la vivibilità delle città e regioni svizzere. Il problema è che molti non si rendono conto dei costi esterni dell’auto e realizzano solo a posteriori che ci sono alternative.
Pensa ci sia una vera volontà di cambiare?
L’abbiamo notata fra i giovani. Le nostre ricerche confermano che questa fascia è notevolmente più aperta alle nuove forme di mobilità. D’altronde molti rimangono attaccati all’auto perché costituisce un’abitudine radicata. È ovvio che meno si conoscono le alternative, meno si utilizzano.
A che punto sono?
Ci sono ma non a livello nazionale. In varie regioni sono in corso sperimentazioni interessanti. La soglia di inibizione è ancora molto alta perché queste offerte sono poco note ai più. Considero il passaggio all’auto elettrica cruciale. È prevedibile che vi sarà un’accelerazione e questo sarà un grande passo in avanti.
Eppure l’auto elettrica non è certo la panacea a tutti i mali.
Certamente non basta, ma assieme al telelavoro rappresenta una tappa decisiva. E non dimentichiamo il contributo che verrà dalla MaaS.
Per chi fa la spola tra due città non cambierà molto. Questi pendolari avranno la scelta solo fra mezzi pubblici e auto privata?
Nei flussi interurbani classici abbiamo effettivamente riscontrato un interesse piuttosto modesto per la MaaS. Sulle tratte principali ci sono già adesso sufficienti treni pendolari.
La transizione verso lo smart commuting sarà volontaria o funzionerà unicamente se supportata da incentivi e sanzioni dello Stato?
Secondo noi è chiaro che ci vorranno azioni d’indirizzo, ma affiancate da meccanismi di rimborso. Oggi, la macchina si presenta sempre come scelta più pratica. D’altronde l’automobile è stata motore di benessere e ha contribuito in maniera significativa allo sviluppo economico del nostro paese, ma dagli anni Ottanta la situazione è mutata. Oggi esistono delle alternative che possono fornire un notevole impulso alla crescita, ma finora politici ed urbanisti non ne tengono adeguatamente conto e seguitano a porre l’enfasi sull’auto. Così, questa rimane di fatto il mezzo di trasporto più conveniente. Occorrono quindi interventi mirati e concertati per cambiare i comportamenti. Non potremo far affidamento unicamente sulla volontarietà se vogliamo costruire un sistema di trasporti intelligente e sostenibile in tempi utili.
Stiamo parlando di una rivoluzione dellamobilità dall’alto e non dal basso?
La rivoluzione partirà da ovunque. Nell’elettromobilità ad esempio vediamo che la spinta al cambiamento viene innestata anche dal basso. Ma la rinuncia all’auto richiederà probabilmente una pressione dall’alto.
Auspica veramente una società in cui sia lo Stato a dettare ciò che è accettabile?
No. È proprio per questo che dobbiamo promuovere le alternative, come pure le imposte sul CO₂ ed eventualmente introdurre tasse sui chilometri percorsi rimborsabili in modo da premiare chi si sposta lasciando una bassa impronta carbonica. Non dobbiamo perdere d’occhio l’obiettivo emissioni nette pari a zero entro il 2050. La pressione politica aumenterà in futuro, ne sono un esempio le polemiche sui parcheggi nelle città. Vediamo altresì che il prezzo della benzina rappresenta un fattore economico determinante, ed infatti oggi molti stanno meditando l’acquisto di un’automobile elettrica.
La mobilità elettrica sta diventando sempre più comoda e conveniente. Lo smart commuting non sta andando di pari passo.
Al momento, l’auto è l’opzione più comoda, ma non più economica. Possederne una costa caro. Chi decide di rinunciare alla vettura di proprietà può risparmiare fino a 4000 franchi all’anno. In futuro la scelta sarà meno avvertita come una grossa perdita di comfort. Ad esempio, se l’auto condivisa arriverà ad essere disponibile sull’uscio di casa.
Quali scogli restano da superare sulla strada verso lo smart commuting?
La spontaneità e la libertà garantite dall’auto devono diventare appannaggio della MaaS. Questi nuovi canali digitali renderanno fruibili una variegata gamma di servizi, a seconda dei bisogni dell’utente. Ma dapprima vanno messe a punto proposte affidabili e complete. Una volta creata l’offerta la domanda per il relativo lifestyle seguirà a ruota. In altre parole, le spinte al cambiamento cresceranno fortemente.
Come faremo avanti e indietro nel 2050?
Non penso che ci sposteremo in modo tanto diverso da oggi. Nei centri urbani ed agglomerati si saranno verosimilmente creati degli hub di mobilità in cui confluiranno i diversi servizi e dove i viaggiatori potranno cambiare da un mezzo all’altro. I trasporti pubblici saranno stati potenziati ed opereranno con più efficienza. Di sicuro potremo disporre di servizi MaaS attraenti e flessibili che funzioneranno senza intoppi. Non credo che la struttura dei grandi flussi pendolari tra gli insediamenti urbani cambierà fondamentalmente. Il treno dovrebbe rimanere il mezzo di trasporto predominante. Le sedi lavorative e ricreative verranno via via rilocalizzate: lo spazio sarà pensato una logica di prossimità per favorire l’avvento delle cosiddette città dei 15 minuti; così si accorceranno le distanze che i residenti dovranno percorrere quotidianamente per vivere, lavorare, studiare, svagarsi.
Intervista: Dino Nodari
Foto: Emanuel Freudiger
Raphael Hörler
Raphael Hörler ha ottenuto il master in scienze ambientali al Politecnico federale di Zurigo. Da allora svolge ricerche nel campo dei servizi di mobilità innovativi, dell’elettromobilità, della guida automatizzata e della gestione della mobilità in seno alle aziende nonché delle strategie di trasformazione verso una mobilità sostenibile. Attualmente lavora alla ZHAW School of Engineering di Winterthur.
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