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11.09.2025

Rimpatrio ETI: sempre pronti al momento opportuno

Quest’estate, una famiglia ginevrina ha sperimentato da vicino come giornate spensierate possano repentinamente trasformarsi in un incubo senza fine.

Grazie all’aiuto della protezione viaggi del TCS, è di ritorno in Svizzera.

Testo: Dino Nodari
Foto: ald

Nove giorni di relax vicino a Napoli. Ecco ciò che Angelo (nome noto alla redazione) si era immaginato. Si è recato nel suo Paese d’origine assieme alla figlia Chiara (17 anni) e al figlio ventisettenne. «Loro erano contenti di assistere a un concerto del rapper napoletano
Geolier e io di ritornare un po’ nel mio paese natio», racconta il padre. Un cugino aveva prestato loro il suo appartamento, situato a mezz’ora circa da Napoli. La madre non aveva invece potuto accompagnarli a causa del suo lavoro.
La seconda giornata era interamente dedicata a Geolier. Nonostante una temperatura di 34 gradi all’ombra, Chiara e suo fratello sono andati al concerto presto per ottenere dei buoni posti. Sono ritornati con la voce roca e stanchi, ma felici. L’indomani, erano ancora estenuati. Niente di insolito, aveva pensato il padre. Hanno quindi partecipato a una festa di paese, mangiato e riso e sono rientrati tardi. «Papà, ho freddo», aveva detto improvvisamente Chiara, prima di coricarsi.

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Alle cure intense

ETI Napoli
L'ospedale locale dove Chiara è stata accolta.

Il mattino la ragazza aveva le labbra blu e tremava in tutto il corpo. Il termometro indicava 41 gradi. Questa situazione è durata quattro giorni. «All’inizio, abbiamo pensato a un colpo di sole, poi
a una puntura d’insetto e persino a un’intossicazione alimentare. Il quarto giorno, Chiara è svenuta e abbiamo chiamato d’urgenza un medico che ci
ha raccomandato di portarla subito al pronto soccorso». Dato che sua figlia non poteva più alzarsi, il papà l’ha portata all’ospedale con l’auto. Lì è stata diagnosticata un’infezione grave. Il medico ha prescritto degli antibiotici, ma lo stato di Chiara continuava a peggiorare. Era disidratata e la febbre continuava a salire a ondate. Perciò è stata trasferita alle cure intense. «Mi sono ritrovato in una clinica, circondato da tubi, monitor che ronzavano, bip incessanti – e mia figlia, che parlava a malapena italiano, tanto era spaventata. Dovevo far attenzione a ciò che le veniva somministrato poiché non sopporta tutti gli antibiotici. Ho provato a impormi, chiesto delle spiegazioni, preso l’iniziativa», racconta, ripensando a quei momenti difficili. «Quando lo stato di Chiara è di nuovo peggiorato, presentando una carenza di ossigeno, e la pressione arteriosa è scesa e aveva dell’acqua nei polmoni, volevo solo una cosa: riportarla a casa», racconta. Così ha chiamato la centrale ETI del TCS. All’altro capo del telefono, lo hanno ascoltato e gli hanno posto delle domande pertinenti e preso immediatamente contatto con l’ospedale. «Si sono procurati il dossier medico di Chiara, organizzato la traduzione in italiano e lo hanno inviato alla clinica. Ero riconoscente, ma al tempo stesso deluso di constatare che nessuno dei medici locali avesse pensato che questo dossier potesse esistere», ricorda Angelo. Certe decisioni prese sul posto sembravano contraddittorie. La centrale ETI ha deciso di rimpatriarla. La Rega doveva verificare se Chiara poteva essere trasportata.

ETI Napoli
Chiara al suo arrivo a Ginevra, finalmente in viaggio verso l'ospedale.

Quando il medico della Rega ha voluto discutere con la dottoressa responsabile in merito alla possibilità di un trasporto, gli hanno risposto che nessuna informazione poteva essere divulgata. Era venerdì sera e la direttrice della clinica era già partita per il week-end. «Chiariremo tutto lunedì». L’incubo continuava… «Ero al telefono con la centrale ETI, con un medico del TCS che spiegava a Chiara ciò che stava accadendo da un punto di vista medico – una voce che portava ordine nel caos. Mi ricordo di una chiamata ancora alle 22; erano presenti in questi momenti duri», dice Angelo.
Nel frattempo, padre e figlio avevano dovuto lasciare l’appartamento perché era stato riaffittato. Si sono perciò sistemati in albergo; in seguito, il TCS si è fatto carico delle spese. Queste lunghe giornate hanno sfiancato tutti. Quando il lunedì Chiara si è sentita meglio, è stata giudicata trasportabile. Il volo è stato programmato per il martedì mattina, vale a dire quasi due settimane dopo il loro arrivo in Italia. «L’ho accompagnata fino al portellone dell’aereo e sono rientrato a Ginevra in auto con mio figlio. Prima di partire, Chiara, pallida e sfinita, ha alzato il suo pollice e mi ha detto: ‘Ce la farò, papà’».
Un’ambulanza del TCS ha trasportato Chiara all’ospedale di Ginevra. Vi è rimasta altri dieci giorni. La diagnosi: shock settico e vari ascessi renali. Un’infezione che, senza cure, avrebbe potuto avere esito fatale. Come sarebbero andate le cose in Italia? Angelo alza le spalle. «So solo che il rischio di prendere delle decisioni sbagliate era grande. Non perché i medici italiani non fossero competenti, ma perché in questa confusione di lingue, documenti, competenze e di assenze dovute al fine settimana, molte cose avrebbero potuto finire male. Sono infinitamente grato alla centrale ETI e a tutte le persone che hanno collaborato al rimpatrio di mia figlia», sospira Angelo. Sono soprattutto i piccoli dettagli che gli tornano alla mente ripensando alle notti passate all’ospedale: l’aria condizionata gelida, le scomode sedie, le infermiere che tamponavano la fronte di Chiara, il ronzio dei monitor e di altre macchine e, chiaramente, le conversazioni telefoniche con il TCS.

Ascoltare e agire

Questo viaggio in Italia ha mostrato loro quanto sia effimera la spensieratezza. «Ho imparato a chiedere aiuto più rapidamente e a mai sottostimare a che punto si è vulnerabili in un sistema straniero. Ma soprattutto, l’esperienza ci ha mostrato a che punto è incredibilmente importante che qualcuno risponda al telefono – che sia tardi la sera o il venerdì, qualcuno che ascolta e agisce». Oggi Chiara è in via di guarigione. La famiglia parla ancora del concerto, del gran caldo. «Ma in mezzo a tutto ciò, c’è un nuovo sentimento, una profonda gratitudine verso il personale di cura in Italia, i medici a Ginevra, i team dell’ETI, del TCS e della Rega, che hanno tenuto duro anche quando tutto sembrava sfuggirci di mano», conclude Angelo.

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