Per lungo tempo l’e-fuel era solo un prodotto di nicchia, adesso invece sta vivendo un boom. Quali ritiene siano le chance per il futuro?
In campi in cui non ci sono valide alternative, l’e-fuel ha buone chance. Ad esempio nell’industria dove sono necessarie temperature molto alte, che non si possono raggiungere con l’energia elettrica. Ma soprattutto nel traffico marittimo e quello aereo, dato che ancora per i prossimi 50 anni non sarà possibile sorvolare gli oceani con le sole batterie. Nel traffico stradale, invece ritengo che i combustibili sintetici abbiano molto meno probabilità di affermarsi rispetto alla mobilità elettrica. Già oggi durante la fase di produzione del carburante climaneutrale derivato da idrogeno e anidride carbonica si perde il 50 percento dell’energia ricavata. Della quantità di energia rimanente ne viene perso un altro 80 percento nel motore termico. Per contro, nell’e-mobilità si ha una perdita di energia minima nell’immagazzinamento in batteria e nella rete di distribuzione. È necessaria circa dieci volte più energia per percorrere la stessa distanza con e-benzina che con un motore a trazione elettrica.
Ritengo che le auto elettriche, che costano ormai poco più di quelle con motore a combustione tradizionale, siano imbattibili. Inoltre sono più veloci, più pulite e più silenziose.
Gli esperti del centro di ricerca ICCT (International Council of Clean Transportation) ritengono che nel 2030 sino al 16 percento del carburante impiegato nel traffico stradale potrebbe derivare da rifiuti e scarti dell’agricoltura e selvicoltura. Ci si dovrebbe concentrare sul biocarburante?
Non penso. Non conosco i risultati dei ricercatori ICCT, ma direi che quanto meno biocarburante avremo sulle strade, tanto meglio sarà per noi. Se cominciassimo a produrre più biocarburante ci sarebbero gravi conseguenze per l’ambiente. Già solo per il fatto che sarebbero necessarie estese superfici di terreno e molta acqua. In più la mobilità elettrica diventerà sempre più a buon mercato in modo che alla fine sarà più economico guidare un’auto a batteria che a benzina o diesel. E il biocarburante costa ancora più dei carburanti normali. E se riusciremo veramente a fare il grande cambiamento passando alla mobilità elettrica, ha più senso avere un unico sistema invece di due paralleli.
E quali sono le prospettive dell’idrogeno?
Potrebbe forse essere impiegato nei camion a lunga percorrenza, per quanto questi avrebbero bisogno di grandi batterie. Il problema maggiore è però che l’infrastruttura per l’idrogeno è ancora limitata. Ma forse nel caso dei camion a lunga percorrenza basterebbero poche stazioni di ricarica. Nel caso di un camion che viaggia da Zurigo a Monaco di Baviera basterebbero una stazione al punto di partenza e una a quello di arrivo. D’altra parte mi hanno convinto i test appena fatti in Germania e in Svezia con linee aeree elettriche per i camion sull’autostrada. Sui lunghi percorsi si alimentano tramite pantografo e così hanno bisogno solo di una piccola batteria per il tragitto da e per l’autostrada. In questo modo vengono eliminati i problemi di autonomia. Il calcolo è subito fatto: tra circa cinque anni si saranno risparmiati i costi per le infrastrutture, perché i motori elettrici necessitano di notevolmente meno energia dei motori a combustione tradizionali.
INTERVISTA JULIANE LUTZ
Nella prima generazione sono state impiegate piante che avrebbero potuto essere destinate anche all’alimentazione, un fatto non accettabile da un punto di vista etico.
Nella seconda generazione vengono impiegate solo piante non commestibili per la produzione di carburante. Attualmente hanno ottenuto risultati molto promettenti i test condotti su residui colturali come la paglia. Per questo motivo Clariant nel 2020 ha in progetto in Romania di aprire una bioraffineria per la produzione di 50 000 tonnellate l’anno di etanolo da cellulosa ricavato dalla paglia.
Per i biocarburanti della terza generazione vengono modificati ed elaborati microorganismi e alghe. Sino a poco tempo fa i ricercatori riponevano grandi speranze nelle alghe a causa della loro alta produttività di biomassa, ma ora sono giunti alla conclusione che la bioenergia da microalghe non è ottenibile economicamente nel medio periodo.
Può essere ricavato dall’acqua con l’impiego di tanta energia e un’ulteriore quantità di energia è necessaria per condensarlo. L’importante è che l’elettricità provenga da fonti rinnovabili come per esempio energia solare ed eolica.
Sinora comunque, per ragioni di costo, il 70 percento dell’idrogeno utilizzato viene prodotto mediante steam reforming: un processo industriale in cui l’idrogeno viene ricavato dal metano.
Le celle a combustibile producono elettricità tramite una reazione elettrochimica in cui l’idrogeno viene combinato con l’ossigeno per formare acqua. Esistono sì veicoli con motore a idrogeno, ma manca l’infrastruttura. Attualmente in Svizzera esistono solo due stazioni di ricarica a idrogeno. Altre tre sono programmate.
Sono carburanti sintetici che non si differenziano da benzina e diesel per quanto ne riguarda le qualità base. La produzione è tuttavia dispendiosa. Dopo la produzione di idrogeno da energia solare ed eolica, viene impiegata l’anidride carbonica per ricavare dall’idrogeno gas naturale o combustibile liquido. Idealmente la CO proviene dall’aria, in modo che si crei un ciclo e che la combustione nel motore sia climaneutrale. Gli e-fuel non sono (ancora) disponibili su vasta scala.
Anthony Patt, 54 anni, professore esperto in questioni ambientali al Politecnico federale di Zurigo.
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